Beatrice Antolini: The New Thing

Siamo fortunati. Noi italiani dico. Per una volta in ambito musicale possiamo andare fieri di un’artista tutta nostra anche se non utilizza esattamente la nostra lingua nelle canzoni (perchè dovrebbe auto-limitarsi e chiudersi nel nostro stagnante mercato musicale?). L’oggetto del vanto è Beatrice Antolini, cantautrice di Macerata accasata a Bologna ed ispirata come poche altre prima di lei. La sua musica è un tripudio di generi, una commistione di suggestioni, uno schiaffo a tutto quello che è stata la musica italiana fino ad ora, a qualsiasi tipo di stilema, di gabbia, di categorizzazione. Ed il bello è che non c’è niente di forzato…il funk scorre naturale, il cyberpunk diventa musica e pure strafottenza hiphop ed estetica rock riescono ad incontrarsi in modi insospettabili, al largo da tutto ciò che è già stato fatto, suonato.

Lo si intuiva già dall’album “A due” e dagli energici live di Bea e della sua Band (il maiuscolo è doveroso) in grado di nobilitare contesti, destabilizzare locali, far viaggiare teste, cuori. E con il nuovo album BIOY è arrivata la conferma, il superamento, l’apice in attesa dell’apice successivo. Dentro ci sono finiti universi: Grace Jones e l’estetica soul-dark, Nine Inch Nails e la potenza delle distorsioni, Pain of Salvation e la creatività delle armonizzazioni. Il tutto trasmesso con la stessa potenza sia su disco che nella dimensione live, così energica, ispirata, non appartenente in nulla a ciò che siamo soliti chiamare scena musicale italiana. E ne sono sempre più convinto dopo aver visto Bea e soci suonare in diverse situazioni e davanti a pubblici molto eterogenei. La botta sonora, le suggestioni, i rimandi, sono così tanti e vari che riescono ad unire in un unico viaggio dal vivo le aspirazioni di un b-boy italiano alla ricerca di batterie e ritmi solidi e “groovosi”, a cancellare le perplessità del metallaro convinto davanti ad un “crossover” così particolare e a coinvolgere allo stesso modo amanti del funk e dell’elettronica di “moogiana” memoria. Ovvero quello che solo i NIN, non proprio gli utlimi della pista, hanno saputo fare negli anni zero. Quello che forse nessun altro all’infuori di Bea sa fare oggi in Italia. Bea distrugge, ricompone, crea, unisce. Così tante facce, così tanti modi, così tanti caratteri. In un momento storico di profonde crisi d’identità, almeno nella musica esiste qualcosa in grado di unire e di plasmare qualcosa di nuovo, creativo, di trascendentale.
Non serve aggiungere altro.

Luke

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