Ogni volta che giro l’ultima pagina di un libro di Cormac McCarty cerco invano una continuazione, una speranza di lieto fine che inevitabilmente non c’è. Il cinismo realista di Cormac non lo permette. E il senso di spiazzamento è permeante.
La caducità della vita, la futilità di ogni gesto, di ogni atto, la mancanza assoluta di importanza per qualsiasi cosa se non la morte, la fine di tutto. Questo è, in maniera asciutta quanto la sua scrittura, ciò che Mccarty ci vuole comunicare con la sua opera.
E il recente Sunset Limited non fa eccezione.
Prendete due uomini, uno bianco e uno nero, metteteli in una stanza di una casa fatiscente, aggiungete che i due uomini, fino a poche ore prima sconosciuti, rappresentano uno il lato più scuro di McCarty (è il bianco, il suicida), l’altro il lato più speranzoso (è il nero criminale rendento e fortemente credente). Ne esce un libro-dialogo di 120 pagine improntato sulla ricerca, inutile, del senso della vita. Stilettate su stilettate, aperture speranzose prontamente chiosate dal pessimismo cosmico. E alla fine la domanda resta…cosa ti separa dal gesto estremo, dalla fine di tutto, cosa ti tiene legato alla terra? E’ forse la fede? Sono i rapporti umani in quanto tali? Sono le illusioni e le paure del post morte?
La risposta non c’è. Le domande rimangono sospese nel vuoto. Come in “La Strada”, alla fine la strada non c’è. Esiste solo un sentiero che ognuno di noi traccia a suo modo, come meglio può. La grandezza di Cormac è di spiattellarlo lì senza fronzoli, forte e chiaro. Ad uno scrittore non si può chiedere di più.
Luke
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