#Noah: il Noé vero è quello di Aronofsky

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Che Darren Aronofsky fosse un regista capace di arricchire le sue storie con un ultra-realismo con pochi uguali ad Hollywood, è cosa nota ai suoi estimatori. Già con “Pigreco il Teorema del Delirio” la fisicità superiore dei personaggi, unità alla profondità psicologica e concettuale del plot, Aron aveva dato prova di avere una sensibilità altra, fuori dal comune.

Con Noah, film ad altissimo budget ed altrettanto alte aspettatve, lo attendeva la prova più dura: quella del colossal, con cui tanti grandi registi indipendenti prima o poi hanno (ahimè) fatto i conti facendone le spese in credibilità e consistenza (l’ultimo a memoria: Neill Blomkamp con il suo bolso e sopravvalutato Elysium dopo la prova straripante a basso budget che aveva scodellato con District 9), era lecito aspettarsi un’interpretazione tutta sua del Noé biblico e del diluvio universale, e così è stato. Spiazza un po’ l’ipotesi fantascentifica e la scelta di ambientare le vicende in un locus ameno, al di fuori di spazio e tempo con unico riferimento certo la Terra…di oggi, di domani, di ieri, non è dato sapere. Spiazza ma arricchisce la storia di elementi stranianti che danno un iniziale senso di disagio e spaesamento che servirà ad Arofnosky per farci dimenticare la storia che conosciamo ed entrare nella sua, quella dove solo una parte di ciò che sappiamo è già scritta. Qui non siamo nell’antico testamento, siamo all’interno dell’essenza umana stessa: stiamo esplorando attraverso i dubbi struggenti di Noè, la dicotomia bene/male, amore/odio, in modo forse non inedito ma sicuramente efficace, fisico, corporale e soprattutto pensato.

noah-imgNoé non è un uomo buono, nessun uomo è stato creato per esserlo, così come Dio non è vendicativo in quanto tale, sono le scelte che entrambi devono affrontare per prendere il proprio posto all’interno dell’Universo, a determinare da che parte far pendere l’ago della bilancia: se a favore dell’amore o a favore dell’odio, che sono poi due facce della stessa medaglia, come dimostra benissimo la scena clou del film in cui Noé dovrà compiere una scelta che sfugge alla facile etichettatura di giusto o sbagliato in assoluto.

Aronofsky ci racconta tutto questo con il suo stile inconfondibile, forse più patinato del solito, forse non padroneggiando ancora a pieno un genere con il quale torna a cimentarsi in maniera molto più magnificiente e attesa rispetto a quanto fatto nel psico-fantasy “The Fountain“, ma sempre mettendoci il suo marchio, quello di un Caino che rifiuta di commercializzare totalmente la propria arte e vuole rimanere autoriale, nelle scelte di regia (vogliamo citare lo splendido stop-motion da cineteca che narrà l’evoluzione della terra?), nella fotografia e nella fisicità dei suoi personaggi. Lo dimostra d’altra parte anche la volontà di pubblicare una Graphic Novel (in Italia edita naturalmente da Panini) basata sulla sceneggiatura del film stesso rendendo di fatto l’opera cross-mediale.

noah-film-di-darren-aronofsky-arca-noèMa no, Noah non è il suo film migliore e non è probailmente un colossal. E’ un film rifiutato dal mondo mussulmano, discusso dal clero ma non ha la portata dirompente di un’opera alla Lars Von Trier nè la voglia di rischiare come un Requiem For a Dream dello stesso regista.
E’ però un film che sceglie di metterci davanti a diversi punti di vista, di farci capire quanto siano le scelte che l’uomo compie a renderlo ciò che è. Un film che com’è usanza del regista, parla di ossessioni e domande ambigue per le quali non esiste una risposta univoca. E scusate se è poco. Mostri di pietra a parte.

Voto 7

Luke

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3 Risposte to “#Noah: il Noé vero è quello di Aronofsky”


  1. 1 wwayne aprile 22, 2014 alle 11:59 am

    Se ti va di goderti un altro bel film con Anthony Hopkins, ti straconsiglio di vedere “Bobby” e “Quella sera dorata.”
    Il primo te lo consiglio non per la sua presenza (il suo é praticamente un cameo), ma perché é uno dei film più belli che abbia mai visto. Nonostante il titolo, non é un film sulla vita di Bobby Kennedy: é un film corale che cerca di far capire quanto questo grande uomo fosse profondamente amato dalla gente comune. Per dirti di quanto questo film é lontano da un biopic, pensa che non c’é nemmeno un attore che interpreta Bobby Kennedy: lui appare soltanto in dei video di archivio.
    Il secondo te lo consiglio perché é esteticamente stupendo. E’ interamente ambientato in una sontuosa villa uruguayana, con dei giardini che da soli valgono il prezzo del biglietto.
    Anthony Hopkins ha girato anche dei bellissimi thriller, da “Il silenzio degli innocenti” a “Il caso Thomas Crawford”, ma sono i 2 titoli sopra menzionati quelli che preferisco della sua sterminata filmografia.


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