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Il cinema ai tempi dei “figli di mezzo della storia”

tyler_durden“Siamo i figli di mezzo della storia” diceva Tyler Durden nel film che ha reso David Fincher un regista di culto per molti della mia generazione (nati negli anni 80). “Non abbiamo nè uno scopo nè un posto, non abbiamo la grande guerra nè la grande depressione, la nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinti che un giorno saremmo diventati miliardari, divi del cinema, rock star…” Lo diceva la pellicola ormai di culto che va sotto il nome di Fight Club, saccheggiata da dischi rap, remixata e rielaborata miriade di volte, tante da diventare manifesto di quella che è appunto una generazione senza grosse direzioni se non quelle dettate da pubblicità, telegiornali, messaggi mass mediatici.
Allora il film metteva in bocca a Brad Pitt una realtà post consumismo 80’s che non lasciava intrevedere niente di buono per l’immediato futuro. Lo faceva come monito, come memento al suono di un grido in stile “svegliatevi dormienti”, che se risuonato nella maniera giusta avrebbe potuto in qualche modo risultare salvifico.

the-bling-ring-whysoblu-6E’ passato qualche anno dall’uscita di quel film, così come dal diverso, ma per certi versi accomunabile Trainspotting, e  nel 2013 in sala troviamo pellicole (sigh, sono pure diventate digitali nel frattempo) che parlano delle conseguenze del mancato ascolto di quel messaggio…la generazione X è diventata Y: i riferimenti televisivi sono diventati non più solo i divi del cinema e le rock star, ma tutti coloro che dall’essere nessuno sono passati ad essere celebrità senza sapere bene come e senza avere alcun talento. Semplicemente televizzando se stessi. I riferimenti siamo diventati noi stessi grazie ai reality prima e ai social network poi. L’apparire è diventato imperante, l’essere solo se condivisi e auto-promossi è diventato lo status quo senza che ce ne accorgessimo. Con un effetto devastante su quella generazione e su quella immediatamente successiva, che in mancanza di grandi guerre o depressioni, ha deciso di autofagocitare se stessa.

Spring-Breakers-selena-gomez-33260560-1500-1372Parlano di questo 2 film usciti nel 2013 e mi troppo chiacchierati in Italia, se non dagli amanti del cinema fatto in un certo modo: The Bling Ring di Sophia Coppola e The Spring Breaker di Harmony Korine. Sono due film diversi nella realizzazione sia da un punto di vista puramente visiva che di narrazione, più asciutto e freddo il primo, più musicale, frenetico e cromatico il secondo; ma che parlano entrambi di quella generazione di cui sopra, in particolare della sua de-generazione.
Prendete i riferimenti distorti comunicati loro malgrado dai rapper afroamericani più commerciali, conditeli con una cromia caleidoscopica, potenziateli con i pezzi dub-step ed hiphop più tamarri del momento (sì, Skrillex abbondanella OST  nel caso ve lo state chiedendo), metteteci alla recitazione icone pop prese direttamente dai programmi per ragazzi di Walt Disney e innalzate suonate un lento di Britney Spears come se fosse l’ultimo pezzo che sentirete in vita vostra: avrete The Spring Breaker: il film più spiazzante, reale ed attuale su ciò che siamo diventati. Ora pensate a facebook come ad un gioco reale, un apparire non solo virtuale ma fisico, aggiungete Emma Watson a capo di una banda di ladruncoli da strapazzo iperinformati sui vestiti delle celbrità ed in grado di girarsi Beverly Hills rubando gli stessi vestiti di villa in villa: avrete The bling Ring, che per altro è una storia vera.

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Morte dei valori? Generazione bruciata che manco James Dean? Esagerazioni contemporanee? A chi ha capacità di analisi la sentenza. Di certo 2 film di grande spessore, dal ritmo quasi opposto: veloce e in stile video clip, con piani sequenza mozzafiato quello di Korine, lento, sornione ed estremamente dub-step per i suoi silenzi e stralunatezza quello della Coppola; uniti dalla disarmante capacità di catturare le storture moderne, quelle che sono post industriali, post capitalismo, post moderne, post tutto e che perciò non sono niente.

E se tutto è post possiamo davvero dire di essere qualcosa di attuale? La risposta a due film coraggiosi quanto “naturali”. Due fotografie speculari che raccontano cosa è andato storto da Tyler Durden in avanti. Parecchia roba.

Luke

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Invictus: il mancato ritorno a Gran Torino

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Strano questo Invictus. Strano l’approccio di Eastwood al tema, strano il suo sguardo, un po’ troppo secco, asciutto, essenziale. Strano perchè Clint, dopo il minuzioso lavoro svolto sul tema razziale in Gran Torino, quello che è già un capolavoro di genere, sembrava avere ancora tanto da dire, o almeno lo trasmetteva il fatto che avesse deciso di cimentarsi con il Sudafrica nel periodo della fine dell’apartheid. Invece Clint questa volta in parte delude. Non del tutto chiaramente, il film è comunque molto bello a vedersi e godibile nella trama, ma un po’ troppo staccato, confinato in un tema che era sviscerabile in molti modi, ma che alla fine rimane sullo sfondo, abbozzato, forse superato implicitamente, mentre il fuoco si sofferma su un unico (grande) evento, quello di un campionato mondiale di rugby in cui Nelson Madela vide la possibilità di unire in un unico tifo pro sudafrica, tutte le etnie di cui era (è) composto il suo popolo. L’argomento è interessante e poco conosciuto, ma vista l’occasione (Morgan Freeman nei panni di Mandela, il film uscito a ridosso dei mondiali di calcio in Sudafrica e quindi in un buon momento di attenzione mediatica verso il paese) la sceneggiatura poteva a mio parere prevedere più contenuto, poteva addentrarsi maggiormente nel cambiamento che Mandela ha rappresentato per la nazione africana. Potenzialmente c’era tanta carne al fuoco ma si è bruciata troppo presto. Nonostante una grade prova di Morgan e un ottima regia (comunque sempre una spanna sopra a molti registi anche esperti), invictus vince ma non convince fino in fondo. Forse ancora una volta è questione di aspettative (Mystic River, Gran Torino, Million Dollar Bay, Flags of our father, non si eguagliano tanto facilmente) ma uno sforzo in più che andasse oltre al quadro di ammirazione per la figura di Mandela, non era pi chiedere molto. Invictus comunque si merita un 7 per realizzazione, tema, attori. Ma non entrerà certo nella storia del cinema come il suo predecessore.

Trailer:

Psycho


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