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The Best 2015 Albums by Luke

Uno dei motivi per cui apprezzo questo periodo dell’anno è sicuramente quello delle classifiche, dei resoconti, delle milestones: tradizione che in ambito musicale, mi piace portare avanti ancora oggi con la mia personale classifica. E allora eccoli i 15 album che più mi hanno emozionato quest’anno e che più, a mio parere, hanno avuto qualcosa da dire nell’uderground musicale. Il 2015 è stato l’anno del ritorno prepotente della blackness, grazie a Kendrick Lamar, D’Angelo, Kamasi Washington e tutta una serie di rapper che hanno scritto album importanti che saranno ricordati anche negli anni a venire. Un po’ di stanca invece l’ha accusata l’ambito elettronico con davvero poche pietre miliari, tra le quali pero ne spiccano anche di italiane. La classifica la trovate qui sopra, mentre di seguito sono elencate le motivazioni dietro alla scelta di ogni album. Buona lettura e buoni ascolti (qui potete ascoltare le migliori tracce mixate tra loro). Luke

album15

  1. Kendrick Lamar – To Pimp a Butterfly
    E’ stato senza dubbio il disco più importante dell’anno, quello che ha segnato il ritorno ad un rap nel quale è più il contenuto (forte, riflessivo, grondante blackness) a contare rispetto alla forma (comunque sublime e fatta di jazz, hiphop e funk in egual misura). Si è detto tanto di questo disco, le parole più belle però le ha scritte pitchfork: it’s not just the album of the year: its the voice of a moment in time. E’ il linguaggio del nostro tempo e una riflessione su dove stiamo andando. Se poi lo metti in rima su basi di Kamasi Washingthon, Flyinf Lotus, Thundercat e vendi pure milioni di dischi, hai fatto bingo in ogni senso. Signori, Kendrick Lamar, il re dell’hiphop di oggi.

    2.D’Angelo and The Vanguards – The Black Messiah
    A mo’ di Messia, D’angelo è tornato ad incidere un disco a 15 anni dalla pietra miliare dell’R&B “Voodoo” e lo ha fatto chiamando con se musicisti impressionanti tra i quali anche George Clinton che apre le danze con i suoi cori alla Parliament. Black Messiah è la sintesi di 30 anni di musica nera, il disco da far ascoltare a chi voglia scoprire le facce musicali di un popolo che la musica l’ha rivoluzionata per sempre. Semplicemente perfetto.

    3. Maribou State – Portraits
    Disco passato ampiamente sottotraccia, acquistato dal sottoscritto a scatola chiusa perchè gli inglese Maribou State sono una garanzia nel campo dell’elettronica soul. Voci calde, beat derivati vagamente dalla house music più soul, echi e riverberi da musica da camera, bassoni da dancefloor, c’è tutto ed è il miglior disco di musica elettronica di quest’anno

    4. Jamie XX – In Colours
    Questo disco rappresenta il 2015 meglio di ogni altro: contiene citazioni alla musica dance anni ’80, voci ghospel afroamericane (The Persuasions), cita la scena black newyorkese come quella rave inglese, fonde campioni a parti suonate come un disco rap ma è di fatto un disco house: piace ai tamarri ed ai cultori dell’underground…e fa ballare tutti. Jamie XX è stato IL nome del 2015, per le strade di New York ad agosto oltre al suo temporary store campeggiavano manifesti ovunque con la scritta “I know, there is gonna be a good time”…promessa mantenuta Jamie.

    5. A$asp Rocky – Alla
    Ecco un disco che non avrei mai pensato di vedere in una mia classifica. Asap è passato però dall’essere un rapper da classifica ad un liricista capace di far riflettere sulla condizione degli afroamericani di oggi, piazzando comunque i suoi pezzi al primo posto su Spotify. A produrlo e a dare quell’inconfondibile e calda pasta sonora blues, nientemeno che Danger Mouse e si sente…già a partire dal primo pezzo “Holy Ghost”…capolavoro

    6.Jack Garratt – Sinesthesya EP
    E’ il Chet Faker dell’anno: una voce piena, calda, un soul elettronico deciso che esalta con la profondità dei bassi e gli arrangiamenti post-dubstep super curati. E’ una piccola gemma dal sottosuolo fatta di sole 5, ma indimenticabili, tracce. Perla rara.

    7.Godblesscomputers – Plush and Safe
    Lorenzo Nada ha il pregio di avere davvero chiaro in testa il suono che intende costruire e le emozioni che vuole trasmettere: ogni suo album è un progetto curato in ogni suono, per sottrazione. Questo però è il suo disco migliore, quello che mi ha fatto piangere sotto al palco dello Spring Attitude a Roma e che mi ricorda sempre quanto siano vicine le scene della bass music e quella beat. Una pasta sonora unica, emozionante e soprattutto personale.

    8.Lapalux -Lustmore
    Lapalux è un producer parigino che negli ultimi 4 anni si è distinto per aver prodotto musica elettronica post dubstep estremamente raffinata, lo si può intuire anche dalla copertina. Con When you are gone aveva quasi lanciato uno standard produttivo con le voci pitchate su ritmi lentissimi e beat pieni…poi ha deciso di regredire con Nostalchic, salvo recuperare con quest’ultimo album dove compare anche la voce di Andreya Tiriana ed un gusto per i pezzi vicino a quello di Bonobo. Ben tornato.

    9. Ta-Ku – Songs to Make Up to
    Seguito di Songs to Break up to, il disco del producer australiano Taku porta la scena beat verso un approccio soul estremamente interessante dove tracce di piano e linea di basso melodico esplodono all’improvviso grazie a beat degni del miglior Dilla a cui il nostro da sempre si ispira. Il disco ideale per svoltare la domenica pomeriggio e far vibrare le pareti di casa di negritudine.

10. Drake – If you are reading this is too late
Per motivi diversi, di forma Drake e di contenuto Kendrick Lamar, sono stati i due rapper sulla bocca di tutti quest’anno. Drake ha praticamente creato un nuovo modi rappare su basi lentissime, super paracule e di una semplicità e superficialità disarmante. Eppure questo disco ha stile. E poi lo puoi mettere nelle situazioni più scabrose sentendoti una “Leggenda”. Immancabile nella top 10. E me ne vergogno anche un po’.

11. Mecna – Laska
Entra in classifica rapper italiano che di italiano ha solo la voce, per il resto tutti i riferimenti musicali sono assimilabili alla scena post dub-step e alle interpretazioni post R&B di Drake. Lui è di fatto il drake italiano, ma nei testi non ce n’è per nessuno, qui l’abilità di storytelling è unica, complessa e stratificata. Un hipster a cui il rap riesce davvero bene.

12. Ghostface & Bad Bad Not Good – Sour Soul
E’ il disco più wu-tang che un membro dei wu-tang (il più prolifico in assoluto) abbia mai prodotto dai tempi di Wu-Tang Forever: è pura dinamite unita a storytelling da strada. Beat pieni, basi soulfood grazie ai tocchi jazz del trio BBNG che è quanto di meglio sia accaduto al rap dopo la venuta sulla terra di Kendrick Lamar. Disco stupendo gustato percorrendo le strade di Harlem in un’estate davvero soul oltreoceano. Must have.

13. Kamasi Washingthon – The Epic
E’ un disco che non dovrebbe esistere nel 2015: tre ore di Jazz tra Sun-Ra e John Coltrane con l’aggiunta di un’epica estremamente cinematografica, del basso elettrico di Thundercat e di voci femminili ad accompagnare l’ascoltatore in un viaggio epico appunto, che nonostante la lunghezza non stufa mai, ed anzi, aiuta a capire tanta musica di oggi. E’ Kamasi uno dei produttori dietro al successo di To pimp a butterfly…e basta sentirlo suonare il Sax per capire il perchè.

14. Flako – Natureboy
Flako è sempre stato uno dei beatmaker più interessanti dell’etichetta tedesca Project Mooncircle (quella di Robot Koch per capirci) e qui lo dimostra staccandosi dall’esempio ma anche dall’ombra di Dilla (il predente Mesetekt ne era un’omaggio), per affrontare una strada ricca di spunti, synth e beat grassi. Il pezzo su “icaro” (ascoltabile nella mia playlist Coffee Cable) è tra i pezzi dell’anno.

15. Vince Staples – Summertime 06
Oltre a Tyler the creator, Earl Sweatshirt e Frank Ocean, la crew los angelena Odd Future, è riuscita a sfornare un altro rapper dalle doti metriche impressionanti. Il suo nome è Vince Staples, le basi su cui rappa sono cupe e sincopate, i ritornelli sono sempre abbozzati più che compiuti, i campioni sono estremamente intelligenti ed il mood generale è da rap dei primi anni zero. Un disco per cultori del rap che perde il confronto con Asap Rocky solo per l’inferiore musicalità.

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Space Dust Leftovers – 2015 mix by Max Prød

Un’ora di buona musica e di cibo per l’anima by Max Prød. Alcuni dei migliori pezzi usciti quest’anno nella zona grigia tra elettronica, bass e black music. Buon ascolto!

Quando il jazz salvò l’hiphop – da Kamasi a Lamar passando per gli NWA

IMG_20150807_222004E’ passato un po’ di tempo da quando ho scritto l’ultima volta su questo blog, spazio virtuale reso spesso necessario per dare forma a pensieri e per far fluire passioni e suggestioni; in mezzo c’è stata tanta musica, tanta evoluzione, un mese vissuto nel cuore di Harlem a capire dall’interno la cultura di cui mi piace parlare, scrivere e che mi esalta ascoltare, vivere, respirare: quella black, quella solo parzialmente rappresentata dall’hiphop e completata in modo sublime dal Funk, dall’approccio prima che dalla musica Jazz, dal Soul inteso come anima di strada, dalla street culture troppo spessa rappresentata come un genere da vendere anzichè per quello che è veramente: un flusso di stili e contaminazioni che si fanno cultura dal basso.

E’ passato un po’ di tempo anche perchè oggi i pensieri si fanno complessi e spesso districarsi tra le evoluzioni culturali-musicali, lasciando fuori il frastuono dei commenti sterili sui social network, degli slogan pro o contro il tal pezzo o il tal artista, non è cosa semplice. Trovare il tempo per interpretare neppure. Facile codificare i singoli di Drake come “the new thing”, facile far “fare il giro” a pezzi tanto vuoti da diventare tamarri, a simboli tanto manieristici (Kanye?!) da diventare “roba per cultori” del genere anzichè spazzatura quale forse è per davvero (ma chi lo dice se l’establishment musicale crea i personaggi e chi ascolta non ha più riferimenti per giudicare?). Facile? No, difficile.

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Cambiano i paradigmi, il rap diventa un movimento per adolescenti nemmeno più incazzati, che anzi, scompaiono quando l’hiphop fa sul serio come quando salgono sul palco a Milano i Run The Jewels dell’ex Definitive Jux El-P e dell’ex Dungeon Family (mio dio, chi erano costoro?) Killer Mike, e ti ritrovi a seguire il concerto con Ensi, Fritz Da Cat, Lord Bean aka Luca Barcellona, gente che la storia dell’hiphop l’ha fatta in Italia e che le nuove generazioni in gran parte nemmeno conoscono. Paradossi moderni di un genere che ha fatto della conoscenza delle proprie radici e di quelle della musica che campiona (funk, jazz, blues, soul appunto) uno dei mantra e dei credo principali per sapersi auto alimentare e celebrare, salvo poi restare in molti casi puramente auto celebrativo e ghettizzarsi da solo in angoli non bene identificati quasi quanto quelli cercati da Foreman sotto la pioggia di pugni di Alì.

Cambiano i riferimenti eppure sotto la superficie (beneath the surface, come profeticamente pronunciava Ghostface Killah del Wu-Tang Clan, ancora oggi tra i pesi massimi dell’hiphop capace di unire vecchia e nuova scuola in un’ideale ponte newyorkese tra vecchio e nuovo, passato e presente) si muove tanta buona musica che a volte sfonda la barriera imposta dall’establishment musicale e sovverte anche gli schemi di quest’ultimo, sempre pronto  sfornare hit di rapido ed insipido consumo.
IMG_20150810_092305Ed io non scrivevo da un po’ perchè questo fenomeno era in atto, non ancora compiuto, meritava un’analisi in silenzio. L’hiphop quello più vero, quello che fa di contaminazione, evoluzione e sperimentazione, nel frattempo si è evoluto in musica elettronica di confine: ragazzi nerd dietro ai propri laptop e campionatori hanno originato dischi memorabili al di fuori dei quattro quarti, prendendo più loro dagli insegnamenti hiphop dei nuovi esponenti o supposti tali del genere. Sono nati i Robot Koch,  i SBTRKT, i Godblesscomputers, i Jamie XX, l’ultimo capace di lavorare anche con Gill Scott Heron che l’hiphop l’ha anticipato anni fa con il suo “revolution will not be televised” (cosa che si sta verificando oggi per altro), e di far risuonare la sua voce campionata al Terminal 5 di New York lo scorso agosto in mezzo ad una bolgia di ragazzini festanti, che di Gill Scott non hanno mai sentito parlare ma che sentivano che sì, qualche cosa quel pezzo gli comunicava. Forse tanto quanto il campione di “Good Times” dei The Persuasions, Neri per caso originali riscoperti proprio grazie al campionamento di Jamie XX nell’ultimo disco.

Nuove contaminazioni, fusioni, commistioni…e all’improvviso uno (s)conosciuto: il Jazz. Robert Glasper jazzista moderno si è messo a dar vita al suo “Experiment” tirando in ballo Mos Def ed il soul della Badu aggiungendo i vocoder cari ad Herbie Hancock; il nipote di Coltrane al secolo Flying Lotus, ha deciso che i suoi esordi di omaggio a Jay Dilla potevano fermarsi lì perchè era necessario procedere verso un’altra strada provando a contaminare la sua Los Angeles, quella degli NWA e delle violenze grauite santificate in “Straight outta Compton“, quella del gangsta rap di Dr.Dre e Snoop Dogg su tutti, con qualche cosa di più di qualche eco jazz alla Guru Jazz Matazz (per altro capolavoro di commistione di generi dell’era 90’s dell’hiphop matrice East Coast), portando un approccio Jazz alle composizioni rap in cui voce e strumento diventano la stessa cosa: saltano le regole di metriche e barre e finalmente anche il rap può godere di un approccio free, fresco ed energico…per palati più colti e fini.


Già, Flying Lotus, uno che viene osannato da chiunque ai festival di musica elettronica, ma che riesce a suonare al Vanguard di New York come suo zio venendo indicato come la cosa più significativa successa in campo Jazz dai tempi di Miles Davis, ed allo stesso tempo di prendersi Snoop Dogg ed il suo gangstarismo per elevarlo assieme al rap consapevole di Kendrick Lamar.
Kendrick: il nuovo paladino del conscious rap americano che nei propri storytelling dialoga con Tupac, cita Malcom X non per piaggeria ma per profonda conoscenza del tema razziale, si chiede dove lo sta portando tutto questo e con lui la cultura afro-americana e quando sale su un palco (visto al Primavera Festival a Barcellona) si portam una band di 5 componenti sprigionando un groove di cui sono capaci forse solo i philadelphiani The Roots.

Il rap si eleva con Kendrick a musica per palati fini senza perdere la sua essenza di strada. Si confonde con il jazz e con le melodie del basso elettrico di Thundercat, altra scoperta di Flying Lotus per la cui etichetta brainfeeder incide due dischi monumentali ridando dignità funk al basso elttrico con cui negli anni hanno scherzato i gruppi P-Funk capitanati da George Clinton, che ne frattempo duetta con D’Angelo sul suo Black Messiah, uno dei dischi forse più importanti degli ultimi 10 anni in ambito black music, uscito in un 2015 ricco di blackness come non accadeva da anni. Thundercat dicevo, capace di passare dal suo album solista tra jazz ed electro soul, alle produzioni per Lamar e Lotus (fondamentale il suo apporto in “You are Dead”) per poi entrare a far parte del super gruppo Jazz messo insieme dal sassofonista Kamasi Washington alle prese con il monumentale “The Epic”, disco uscito ancora una volta per Brainfeeder etichetta di Flying Lotus e che vede nei pezzi suonati con Thundercat dei veri e propri capolavori sospesi tra Coltrane, Miles e Sun Ra, citando e campionando ancora una volta Malcom X. E pensare che proprio Kamasi è nascostro dietro a molte produzioni dell’ultimo disco di Kendrick, Pimp like a butterfly…

Kamashi Washington's new album, The Epic, comes out May 5

Kamashi Washington’s new album, The Epic

Intrecci infiniti, suoni che si evolvono in continuazione verso un’epica evoluzione del concetto di soulfood, cibo per l’anima, cosa che la musica rappresenta per gli afro-americani, e che di singoli faciloni da radio non se ne fa un benemerito, salvo poi collimare in pezzi da club, consapevolmente, in cui puoi trovare a duettare Kendrick con il socio Asap Rocky su ritornello di Drake.

Ecco perchè non scrivo di getto, perchè la realtà è meravigliosamente complessa. Come associare PIMP e BUTTERFLY nel titolo di un album che riassume perfettamente il senso di tutto questo sfogo digitale. Evoluzione è ricombinazione. Siamo pronti.

Luca “Luke” Mich
twitt: @lucamich23

 

Best album 2012 – compiled by Luke

Anche il 2012 ci ha regalato diversi dischi interessanti e di indubbio valore oggettivo (per quanto questa possa essere una chiave di lettura valida per una classifica o un giudizio in generale). Tanta bass-music, qualche ottimo disco hiphop (finalmente) e qualche chicca sperimentale, meno rock indipendente (nonostante il valido Nocturn Quiet dei Mars Volta). Volendo come di consueto stilare una personalissima classifica “best of the year” ho però dovuto escludere alcuni dischi importanti come Cancer 4 Cure di El-P o alcune chicche quali il poetico disco dei producer tedeschi Sekuoia & Rain Dog o ancora l’EP del terzetto S/S/S di casa Anticon o il groovoso Awe Natural delle Thee Satisfation. Ho cercato però di inserire in questo best 15een gli album non solo più belli secondo il mio gusto personale, ma anche quelli con più personalità, quelli che oggettivamente (quanto più possibile) sono riusciti a portare spunti nuovi nel genere che rappresentano.

album 2012

1. Flying Lotus – Untill the quite comes
2. Gang Colours – The keychain collection
3. Union – Analogtronics
4. John Talabot – Fin
5. JJ DOOM – Key to the kuffs
6. Lorn – Ask the dust
7. Shlohmo – Vacation
8. Burial – Kindred
9. Bonobo – Black Sands Remixed
10.  Kendrick Lamar – Good kid m.a.a.d. city
11. Mala – Mala in Cuba
12. Hot Chip – In our heads
13. Nicolas Jaar – Space is only noise
14. Godblesscomputers – The last swan
15. Lapalux – When you are gone EP

Note/Curiosità:

– di Union si è parlato veramente poco rispetto al valore assoluto di un disco che raccoglie lo spettro completo della musica black in tutte le sue sfacettature. Il pezzo con Guilty Simpson solo per come entra il rapper in modo soft dopo oltre 1 minuto e mezzo di traccia vale da solo il terzo posto in classifica. Nuovo approccio a produzione ed arrangiamento rap.

– è il secondo anno consecutivo che al 2° posto classifico un disco della Brownswood Records, etichetta dell’inglese Gilles Peterson che dopo il seminale Ghostpoet ha scoperto questo ragazzo a nome Gang Colours che ha preso a mio parere il testimone di James Blake nel “genere” post-dubstep. Sempre grazie a Peterson, possiamo oggi ascoltare Mala in Cuba che dà al genere bass un motivo di esplorazione etnica fin’ora scarsamente interpretato.

– Kendrick Lamar è un rapper di Compton che pare aver deciso che si può raccontare il quartiere gangsta per eccellenza (da qui sono usciti i dischi più tamarri e violenti della storia dell’hiphop…a partire dagli NWA) con un approccio “leggermente” più profondo alle liriche di quanto fatto fin’ora. Il tutto con un gusto per produzioni e metriche davvero nuovo. E soprattutto con un’estetica completamente rinnovata.

– di Shlohmo, producer ventenne americano, non si sente davvero mai parlare. Ma è grazie al suo suono ovattato e acquoso che il post dubstep ha assunto un nuovo significato e legato indussolubilmente dub e hiphop. Vedasi anche i dischi di Shigeto, Salva, Jaar, Submerse, Sekuoia, tutti in qualche modo legati al modo di comporre di Shlohmo. Ci sarebbe poi un certo Robot Koch

– The Last Swan di Godblesscomputers è l’unico disco italiano in classifica, che però di italiano non ha nulla se non il “gusto” di fondo. Un disco molto intenso e sentito che unisce “wood, metal and microchips”, strumenti analogici tribali e suoni elettronici in una miscela a suo modo unica, senza forzature ne scopiazzature dai maestri Berlinesi. E non lo dico perchè si tratta di un grande amico, qui c’è qualcosa di speciale. In uscita per Equinox anche il suo nuovo lavoro Freedom is ok.

Talabot non ha bisogno di presentazioni: forse solo Rustie e Onra nell’ambiente della musica elettronica sono riusciti a fare in parte quello che ha fatto lui con Fin: reinterpretare la musica elettronica anni ’80, ricontestualizzarla e darle senso nel 2012. Un’impresa non da poco e totalmente inedita.

– infine un’ultima nota dedicata all’hiphop, genere al quale sono da sempre legato e che lentamente stava uscendo dalle mie classifiche e dagli ascolti, se non per qualche incursione targata DOOM o Kanye West. Quest’anno complici i producer Union, Jneiro Jarel, e l’eccellente Kendrick Lamar, ben 3 dischi della classifica possono essere definiti Hiphop. Mentre Flying Lotus che domina la classifica è a tutti gli effetti una personalità proveniente dall’ambiente. Segno che il genere inizia a muoversi ed allontanarsi dal pantano in cui si è cacciato negli anni zero. Non posso che gioirne.

E’ tutto anche per il 2012. Se qualcosa vi è sfuggito potrete beccarlo nei 3 mixtape recentemente prodotti da noi Groovenauti, dentro ci troverete diversi pezzi tratti anche da questi mangnifici 15.

Buoni ascolti!
Luke


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Disco dell’anno 2016

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