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Best album 2012 – compiled by Luke

Anche il 2012 ci ha regalato diversi dischi interessanti e di indubbio valore oggettivo (per quanto questa possa essere una chiave di lettura valida per una classifica o un giudizio in generale). Tanta bass-music, qualche ottimo disco hiphop (finalmente) e qualche chicca sperimentale, meno rock indipendente (nonostante il valido Nocturn Quiet dei Mars Volta). Volendo come di consueto stilare una personalissima classifica “best of the year” ho però dovuto escludere alcuni dischi importanti come Cancer 4 Cure di El-P o alcune chicche quali il poetico disco dei producer tedeschi Sekuoia & Rain Dog o ancora l’EP del terzetto S/S/S di casa Anticon o il groovoso Awe Natural delle Thee Satisfation. Ho cercato però di inserire in questo best 15een gli album non solo più belli secondo il mio gusto personale, ma anche quelli con più personalità, quelli che oggettivamente (quanto più possibile) sono riusciti a portare spunti nuovi nel genere che rappresentano.

album 2012

1. Flying Lotus – Untill the quite comes
2. Gang Colours – The keychain collection
3. Union – Analogtronics
4. John Talabot – Fin
5. JJ DOOM – Key to the kuffs
6. Lorn – Ask the dust
7. Shlohmo – Vacation
8. Burial – Kindred
9. Bonobo – Black Sands Remixed
10.  Kendrick Lamar – Good kid m.a.a.d. city
11. Mala – Mala in Cuba
12. Hot Chip – In our heads
13. Nicolas Jaar – Space is only noise
14. Godblesscomputers – The last swan
15. Lapalux – When you are gone EP

Note/Curiosità:

– di Union si è parlato veramente poco rispetto al valore assoluto di un disco che raccoglie lo spettro completo della musica black in tutte le sue sfacettature. Il pezzo con Guilty Simpson solo per come entra il rapper in modo soft dopo oltre 1 minuto e mezzo di traccia vale da solo il terzo posto in classifica. Nuovo approccio a produzione ed arrangiamento rap.

– è il secondo anno consecutivo che al 2° posto classifico un disco della Brownswood Records, etichetta dell’inglese Gilles Peterson che dopo il seminale Ghostpoet ha scoperto questo ragazzo a nome Gang Colours che ha preso a mio parere il testimone di James Blake nel “genere” post-dubstep. Sempre grazie a Peterson, possiamo oggi ascoltare Mala in Cuba che dà al genere bass un motivo di esplorazione etnica fin’ora scarsamente interpretato.

– Kendrick Lamar è un rapper di Compton che pare aver deciso che si può raccontare il quartiere gangsta per eccellenza (da qui sono usciti i dischi più tamarri e violenti della storia dell’hiphop…a partire dagli NWA) con un approccio “leggermente” più profondo alle liriche di quanto fatto fin’ora. Il tutto con un gusto per produzioni e metriche davvero nuovo. E soprattutto con un’estetica completamente rinnovata.

– di Shlohmo, producer ventenne americano, non si sente davvero mai parlare. Ma è grazie al suo suono ovattato e acquoso che il post dubstep ha assunto un nuovo significato e legato indussolubilmente dub e hiphop. Vedasi anche i dischi di Shigeto, Salva, Jaar, Submerse, Sekuoia, tutti in qualche modo legati al modo di comporre di Shlohmo. Ci sarebbe poi un certo Robot Koch

– The Last Swan di Godblesscomputers è l’unico disco italiano in classifica, che però di italiano non ha nulla se non il “gusto” di fondo. Un disco molto intenso e sentito che unisce “wood, metal and microchips”, strumenti analogici tribali e suoni elettronici in una miscela a suo modo unica, senza forzature ne scopiazzature dai maestri Berlinesi. E non lo dico perchè si tratta di un grande amico, qui c’è qualcosa di speciale. In uscita per Equinox anche il suo nuovo lavoro Freedom is ok.

Talabot non ha bisogno di presentazioni: forse solo Rustie e Onra nell’ambiente della musica elettronica sono riusciti a fare in parte quello che ha fatto lui con Fin: reinterpretare la musica elettronica anni ’80, ricontestualizzarla e darle senso nel 2012. Un’impresa non da poco e totalmente inedita.

– infine un’ultima nota dedicata all’hiphop, genere al quale sono da sempre legato e che lentamente stava uscendo dalle mie classifiche e dagli ascolti, se non per qualche incursione targata DOOM o Kanye West. Quest’anno complici i producer Union, Jneiro Jarel, e l’eccellente Kendrick Lamar, ben 3 dischi della classifica possono essere definiti Hiphop. Mentre Flying Lotus che domina la classifica è a tutti gli effetti una personalità proveniente dall’ambiente. Segno che il genere inizia a muoversi ed allontanarsi dal pantano in cui si è cacciato negli anni zero. Non posso che gioirne.

E’ tutto anche per il 2012. Se qualcosa vi è sfuggito potrete beccarlo nei 3 mixtape recentemente prodotti da noi Groovenauti, dentro ci troverete diversi pezzi tratti anche da questi mangnifici 15.

Buoni ascolti!
Luke

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Sculture sonore e note liquide: tra Herman Kolgen, Dark Sky e JJDOOM

Il festival di arte e musica contemporanea transart12 in provincia di Bolzano è iniziato da pochi giorni e la visione di 2 degli eventi principali quali: l’esperienza ultra-corporea e di alterazione della percezione del reale messa in piedi da Ulf Langheienrich (all’interno di Alumix, ex fabbrica di alluminio bolzanina risalente agli anni 30) e l’esperienza liquida creata dal regista tedesco Herman Kolgen all’interno di una piscina a Merano, hanno già lasciato forti strascichi sulla mia personalissima percezione della realtà, da tradursi come: una nuova interpretazione della musica che sto macinando e bruciando sul mio Technics 1200 in questo periodo di fine estate. La chiave interpretativa per quanto troverete nelle recensioni sottostanti va quindi ricercata in questo recente quadro esperienziale.

Dark Sky – Black Rainbow
Sarà che la cover di questo disco, in linea con quanto espresso dal titolo dell’album, vede un arcobaleno formato dai riflessi della luce su una colata di petrolio, sarà che i suoni dei 3 musicisti di Londra affiliati a Black Acre records sembrano uscire da un fabbricato alla periferia di Manchester e che sembrano sfaldare le certezze da dance-floor che ci siamo costruiti nell’ultimo anno grazie alla deriva (piacevole) house del dub-step, ma questo disco di 4 pezzi rappresenta la perfezione sonora per proseguire nell’esperienza ultra corporea tarantolata di Ulf Langherienrich. Niente psichedelia, solo beat sparati a mille su bassi corposi e sfonda casse. Gli spasmi arrivano verso la fine con il pezzo culto “Totem”.

Lorn – Ask the dust
Quel che rimane della bass music da club dopo essere passata per le macchine di Lorn, producer inglese accasatosi in NinjaTune, bisogna assaporarlo tra le ceneri del dub-step. Lorn è abbastanza chiaro in merito: perchè trasformare un’esperienza potenzialmente dark (la bass music inglese) in un raggio di luce dance (Skrillex) quando la si può incupire ancora di più fino a diventare canto funebre del genere stesso? Lorn dà un’interpretazione tutta sua dei sintoni dub trasformando il suo disco in cupo inno alla bass music. Per gli amanti di Zomby, qualcosa di ancora più straziante ma infinitamente più potente. Se poi lo si ascolta dopo uno spettacolo di Herman Kolgen di se stessi rimane ben poco. Straniante.

 
JJ DOOM – Key to the Kuffs
In questo contesto il nuovo lavoro di Doom, sempre più british che americano causa la sua lunga permanenza su suolo inglese nell’utlimo anno (dicono gli sia stato negato il rientro negli USA per motivi però del tutto ingoti), è l’ancora di salvataggio nella piscina di Kolgen, il collegamento con l’aspetto più fisico della realtà, con la strada ed i suoi mille feticci. Peccato, anzi per fortuna, che a tenere il tutto in una dimensione più quantizzata e vagamente eterea ci pensi il king assoluto delle produzioni post Dilla in ambito black: Jneiro Jarel sotto il suo classico pseudonimo Dr Who Dat?. Il dottore sforna semplicemente le migliori basi sulle quali doom abbia mai rappato, non me ne voglia DangerMouse, passando da pessi di matrice jazz-dowtempo “Winter Blues” a boom clap sporcati da concetti di madlibiana memoria “‘Ello Guv’rnor“. Ricordandosi quanto fatto per il progetto Shape of Broad Minds, Janeiro porta su marte lo stile di produzione di un pezzo rap inglobando downtempo, etno-music, afro-beat, dub, classic rap: il tutto amalgamato al limite del riconoscibile. Oltre a pezzi di culto che riportano l’ascoltatore di bass music nella dimensione del b-boy stradaiolo che si spezza il collo sui beat dei Wu-Tang (leggasi il sottoscritto) quali “Still Kaps” o “Bite the Thong”, ce ne sono anche altri 2 già usciti ler la magnificente LEX RECORDS (etichetta che ha rilasciato questo disco) nei mesi passati ma qui rivisti da Jarel per la parte musicale: Retarded Fren e Rhymin Slang, che se la giocano con le rispettive versioni originali apparse sul disco celebrativo uscito qualche mese fa per il decennale della label inglese.
Battere EL-P Cancer for Cure e Oddisee People hear what they see, come migliori dischi rap usciti nel 2012 non era facile. Credo che la premiata ditta ci sia riuscita sfornando un album unico sull’asse Londra-New Orleans (città natale di Jarel) e mostrando anche al pubblico americano di cosa sono capaci le influenze sonore europee. Già culto.
Luke


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