Shabazz Palaces, fenomeno rap underground dell’anno, presenta un concentrato dei migliori pezzi del disco Black Up (per info e recensione vedi qui), attraverso un video che unisce atmosfere naturali e cittadine, fonde Africa con America, sfuma strade e città in piante e terra. Un piccolo capolavoro black. Classificatosi 7° nella classifica dei dischi dell’anno (per vedere tutta la classifica clicca qui).
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Shabazz Palaces – il video
Published dicembre 29, 2011 Video Leave a CommentTag:avant hiphop, post hip hop, shabazz palaces
Falling Trees – Mixtape autunnale tra dubstep e hiphop
Published ottobre 23, 2011 PODCAST Leave a CommentTag:Antipop Consortium, Dub step, Example, Exile, hiphop, Jay-Z., Kanye West, Kasabian, Modeselektor, Paul White, Robot Koch, Rustie, shabazz palaces
Autunno, sensazioni multicolori, cambiamenti fisici e mentali. Tempo multisfaccettato.
Ho compresso tutto questo in un mixtape confezionato con tracce uscite a ridosso o in questo periodo. Robot Koch, Modeselektor, Paul White, Exile, Example, Kasabian, Antipop Consortium, Rustie, Shabazz Palaces, Kanye West, Jay-Z.
Buon ascolto autunnale.
Luke
Per scaricare la playlist cliccare sulla freccia nella barra degli strumenti di soundcloud.
Shabazz Palaces, i nuovi custodi del “post hiphop”
Published settembre 25, 2011 Recensioni - Dischi 1 CommentTag:abstract hiphop, Anticon, avant hiphop, clouddead, hiphop sperimentale, kill the vultures, shabazz palaces
Qualche mese fa sul mio I-Pod ho iniziato a far girare un disco misterioso, uno di quelli che scarichi per sentito dire ma non ricordi ne da chi ne quando ne “il dire”.
Un album astratto già dalla copertina, nera con alcuni grafemi in stile arabeggiante. Un nome che non apre nessun cassetto della memoria, un titolo che, quello si, ineggia ad un qualcosa di sopra le righe nella cultura black. Quasi un monito di post modernismo, di post hiphop. Il disco è rimasto a girare in macchina pe un po’, tra ascolti distratti e reminiscenze non troppo convinte di album di rottura usciti ad inizio millennio.
Girando per il web su alcuni blog musicali ho poi percepito diverso entusiasmo rispetto a questa produzione, ed è così che ne ho approfondito la conoscenza, cosa che avrei dovuto fare fin dall’inizio. Scopro così che dietro al nome di Shabazz Palaces non si nasconde un gruppo di esordienti illuminati con la missione di rivitalizzare gli stilemi abstract hiphop concettualizzati dalla Anticon, caricati da Dalek, portati all’estremo dai Clouddead, bensi un mc storico, seppur underground (tanto che ammetto, non lo conoscevo) della scena new yorkese, tale Isamel Butler dei Digable planets gruppo addirittura detentore di un grammy awards negli anni 90.
Insomma ce n’è per rimanere davvero affascinati: un mc vecchia scuola che torna alla ribalta con un hiphop sperimentale, minimalista, dalle atmosfere scure, fumose, leggermente jazzate, concettuali. Un rapper della new old school che mette la voce al servizio delle atmosfere, che non punta alle punchline ma che utilizza gli echi, i riverberi confondendo la sua voce nell’atmosfera generale dei pezzi quasi come un burial fa con i suoi campionamenti misteriosi.
Siamo di fronte ad un hiphop veramente vicino alle atmosfere delle prime produzioni Anticon, ma che più che sul concetto e sul messaggio punta a creare paesaggi sonori, quasi ambient in alcuni momenti (altissimi). Un hiphop soffuso ma incisivo, con dosi bilanciate di campioni e suoni elettronici. Un mood dopato, da viaggio psichedelico ma senza esagerazioni, un andamento downtempo e, forse (i confini tra generi saltano completamente) trip hop.
E’ strano, ma Black up potrebbe essere uno dei momenti più alti di incontro culturale tra black & white music, pur senza volerlo essere probabilmente. Un esperienza antropologica più che un disco. Da ascoltare in cuffia, stesi sul proprio divano, pensando a cosa potrebbe succedere se le culture si incontrassero e capissero per davvero, se i confini sistemici saltassero, se i pianeti si scontrassero anzichè sfiorarsi le reciproche traiettorie.
Vale la pena di chiedersi se anche l’espressione sperimentale abbia assunto un nuovo senso. Personalmente credo di si. E lo scoprirò ancora più compiutamente lasciando decantare Black up nel mio stereo, facendo affiorare piano piano suoni, suggestioni e sapori inconoscibili ai primi ascolti. Fatevi un regalo ed ascoltatelo dandogli la giusta attenzione, ponendo tutto quello che sapevate del genere hiphop, sotto una luce completamente nuova. E mettete in repeat fisso “Endeavors for Never“, pezzo strabiliante di sperimentalismo jazz-elettronico-soul. Tutti a casa. Ad ascoltare.
Luke
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