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Undun: il concept album dei Roots. Le cose non fatte della nazione afroamericana.

Il 2011 è stato un anno ricco di uscite discografiche molto interessanti (pubblicherò qui la mia personalissima classifica entro Natale), e l’autunno ha dato un’ulteriore ventata di freschezza con uscite estremamente valide: The Black Keys, Emika, Mike Ladd e, un po’ a sorpresa dato che il loro album risale a nemmeno un anno fa, The Roots.

Il 13° album della band hiphop di Philly si intitola “Undun” ed è senza dubbio il punto di accesso più complicato alla loro encomiabile carriera. Si tratta infatti di un concept album dal suono molto soft che protrae in qualche modo il mood introspettivo già introdotto sul precedente “How I got over”. Pochi beat, parti orchestrali, melodie riflessive e maliconiche spezzate dal rap duro di Black Thought (che si conferma ancora uno dei migliori lyricist sulla piazza). Un suono rotondo, introspettivo, addirittura definibile ostico se non approcciato nella maniera corretta.

“Undun” non è sicuramente un capolavoro ma rappresenta un momento importante nell’ambiente hiphop tanto quanto nella carriera dei Roots e per questo ho voluto darne una mia interpretazione. Trattasi infatti di un concept album incentrato sulla figura reale-immaginaria di Redford Stevens, un ragazzo nero del ghetto come tanti ce ne sono negli USA, di cui ripercorriamo a ritroso le circostanze che lo portano a finire dietro le sbarre, a non mancare l’appuntamento con il dato statistico che vuole le progioni americane piene zeppe di maschi afroamericani. Crime story fatta di scelte sbagliate, di strade percorse in senso contrario, di buon senso venuto meno sulla strada per la sopravvivenza in circostanze avverse. Una storia assimilabile a tante altre che la cronaca quotidiana ci racconta, fatta di “undun” cose non fatte, appuntamenti mancati con la vita e con le scelte corrette.

I Roots scelgono quindi ancora una volta la strada dell’hiphop conscious, quello che ci parla di storie vere, di strada, fatte di povertà. Argomento che negli anni della crisi globale, del movimento “Occupy Wall Street” e delle promesse non mantenute del governo Obama, assume significati ancora più profondi, chiudendo il cerchio proprio sulla parola UNDUN: traducibile anche con “inconcludenza”.

Questlove ce ne parla mettendo in musica il sentimento della nazione afro-americana, ricordandoci e ricordandole che i problemi irrisolti nelle strade americane sono ancora molti. Alla faccia dei tanti dischi rap basati sulla sola autocelebrazione che escono al ritmo di decine a settimana. Per un gruppo che ha fatto e detto tutto nel corso di 13 – tredici – album, non è affatto poco.
Se lo spirito originario di denuncia dell’hiphop esiste ancora è anche grazie alla masnada di Questlove. E c’è chi ringrazia.

Citazione iconica: “Lotta niggas go to prison, how many come out Malcolm X?”

Luke

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The Roots – new album

Direttamente dall’ultimo album del gruppo di Philly in uscita a luglio, ecco il primo singolo Dear God 2.0. A mio parere meraviglioso. Echi dub, canti pop/soul e attitudine nera in stile roots.


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